Rivivono in un libro gli anni Sessanta e il Bar Grande Italia, dove si incontravano Francesco Guccini e Bonvi, Dodo Veroli e Pier Farri, Tony Verona e Carlo Savigni
"Un brivido di chitarre e batterie, di occhi truccati con la matita e di minigonne, di capelli lunghi e di pantaloni a tubo. Il cuore era a Londra, o a Liverpool, il resto - tutto il resto - a Modena, in quel Bar Grande Italia che negli anni Sessanta era il punto di riferimento o, come direbbe Guccini, la "préda ringadora", di studenti turbolenti e di giovani creativi. C'erano Roman Rock, Gianni Borelli, i Monelli, i Gatti, i Giovani Leoni. E in un attimo le carte si mescolarono e spuntarono l'Equipe 84, i Nomadi, i Marines di Johnny e le Gatte di Ambra, alchimie concepite con l'apporto di altri avventori del Bar: Dodo Veroli e Pier Farri, Tony Verona e Francesco Guccini, Bonvi e Carlo Savigni. Quegli anni rivivono ora nelle 128 pagine del volume "Seduto in quel caffè: fotocronache dell'era beat", che a cura di Massimo Masini raccoglie fotografie di Carlo Savigni, Franco Vaccari e Oscar Goldoni e testi di Edmondo Berselli,Giò Barbieri, Franco Fini Storchi, Francesco Guccini, Maria Roberta Olivieri, Carlo Savigni, Franco Tedeschi e Franco Vaccari. Realizzato in collaborazione con Sottomarino Gialloblu e con il contributo degli assessorati alla Cultura e agli Interventi economici del Comune e della società di promozione del centro storico Modena Amore Mio, il libro è pubblicato dalle Raccolte fotografiche modenesi Giuseppe Panini ed è in vendita a 25 euro. "Eravamo appena usciti dalla convenzione del melodico moderno di Gianni Morandi e dai sussurri e le grida di Rita Pavone, dal ballo del mattone, dal pullover, dal barattolo, dal cane di pezza, da giovane-giovane-giovane, dal cha-cha-cha: e davvero la deflagrazione mondiale di 'Please Please Me' aveva scompigliato le nebbie della provincia", ricorda Edmondo Berselli. "Era decollata un'altra epoca, e la capitale del mondo riconosciuto era ovviamente Londra con le sue cavern. La modernità era un brivido di chitarre e batterie: c'era in giro un'eccitazione mai sentita prima". Era venuto il momento in cui si potevano indossare "le giacchettine striminzite, i pantaloni a tubo, i berrettini, le camicie eccentriche, e farsi crescere moderatamente o smodatamente i capelli, e comprare religiosamente ogni settimana Ciao Amici o Giovani". I segni di una disinvoltura nuova. "Quando il nostro gruppo (allora si diceva la compagnia) cominciò ad occupare uno spicchio di quel territorio, alla fine dei '50, quel bar presentava parecchi vantaggi", ricorda Franco Tedeschi: "era talmente vasto che potevamo posizionarci ai margini senza essere costretti a consumare; ci si poteva scindere in sottogruppi secondo gli affetti del momento; era una comoda sosta fra una 'vasca' e l'altra o, verso le 12 e 30, al ritorno da scuola; c'era un gran passeggio di ragazze, da lì si vedeva quasi tutto e, soprattutto, ci si faceva vedere". I giovani avventori del Grande Italia leggono Steinbeck, Salinger, Camus, Kafka, Orwell, ma anche fumetti, fantascienza, Wodehouse e un po' di poesia: Pavese, Lorca, Ungaretti, Dylan Thomas e, più tardi, Corso e Ginsberg. Amano anche la prosa e il cabaret, vanno a Municipale e allo Storchi per vedere Glauco Mauri e la Moriconi, Romolo Valli e Alberto Lionello, Lina Volonghi e Franco Parenti, gli spettacoli di Strehler, Visconti, Dario Fo, di Paolo Poli. Ma la vera passione è la musica, soprattutto il pop americano e i suoi territori adiacenti. Il più autorevole del gruppo è Francesco Guccini, poeta e scrittore in erba, ma soprattutto grande animatore di gruppi musicali dilettanti che spaziano dal repertorio di Modugno e Buscaglione al rock&roll.; Con Alfio Cantarella e Victor Sogliani, Guccini suona con successo alle terme di Salvarola con "I Gatti". Poi parte per il servizio militare e viene sostituito da Maurizio Vandelli. Con l'arrivo di Franco Ceccarelli, sul finire del 1963 i ragazzi si ribattezzano "Equipe 84" e, in pochissimo tempo, complice l'onda d'urto Beat proveniente d'oltremanica, raggiungono la celebrità. "Il gruppo (allora però si diceva 'complesso') ottenne in poco tempo un successo incredibile", ricorda Carlo Savigni. "Io cominciai a seguirli ovunque: nei concerti, nella villa di Via Bodoni a Milano dove erano andati a stare e, per un intero mese al mare, a San Felice Circeo". Scattava foto a centinaia, che venivano pubblicate su spartiti, giornali copertine di dischi. La cronologia che Masini ha ricostruito si arresta annunciando il 1967: un po' perché la preziosa ed esclusiva documentazione fotografica di Carlo Savigni si arresta improvvisamente; ma soprattutto perché dall'anno seguente il Beat, che ha raggiunto l'apice, si trasforma. "D'ora in poi ci chiameremo Hippies, o Figli dei Fiori". Già nel maggio '68 si partiva dal Bar Italia alla volta della storica "Liberté de Parole", manifestazione dell'avanguardia artistica che si svolgeva al Colombier di Parigi, "mentre gli artisti stranieri che facevano tappa nella Modena del Grand'Italia - racconta Giò Barbieri - si sentivano a casa propria: stesse idee, musica, argomenti, interessi e aspirazioni, tanto da sentir definire la nostra città una piccola Londra". Prima del giro di boa, il Beat modenese nel 1967 snocciola "Dio è morto", la discesa in campo di Guccini e "29 settembre"."La musica leggera - spiega Masini - corre ora verso un orizzonte d'impegno sessantottino, oppure d'individualismo intimista 'mogolbattistiano'. Quando avrà voglia d'impegnarsi, ovviamente. In un'Italia che musicalmente s'è finalmente desta grazie anche al Grand'Italia, restandosene comodamente 'seduto in quel caffè' il Beat si congeda". I miti degli anni Sessanta si materializzano nel megaconcerto di Woodstock. "L'onda d'urto dell'evento - ricorda Franco Vaccari - fece diverse volte il giro del pianeta ed al suo passaggio sull'Europa produsse il Pop Festival dell'Isola di Wight. In agosto partii anch'io col sacco a pelo d'ordinanza per partecipare al grande rito collettivo. Non immaginavo, allora, che quell'esperienza non sarebbe stata mai più possibile". "
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